La 1° newsletter che apre gli occhi sul connubio moda-Cina
Una laurea in lingua cinese all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Un lavoro nel giornalismo di moda. È di Federica Caiazzo l’idea della creazione di MODA in China: la 1° newsletter italiana sulla moda cinese. Un viaggio in forma epistolare (digitale) che ha avuto il suo inizio nella Cina di Mao, durante la Rivoluzione Culturale che – nella prima puntata – è stata ricostruita attraverso i racconti di Angelica Cheung, ex direttrice di VOGUE Cina. La newsletter è gratuita e ha cadenza ogni 1° e 3° giovedì del mese. Riviste patinate, designer, creativi, servizi fotografici, campagne pubblicitarie e tutto ciò che concerne l’industria della moda e il lusso in Cina: la newsletter avrà un respiro internazionale, e guiderà il lettore attraverso eventi e notizie offrendo al tempo stesso gli strumenti chiave per comprendere la Cina di oggi attraverso la storia del passato.
Nonostante la digitalizzazione e la grande accessibilità all’informazione, MODA in China guida il lettore nella storia della moda cinese di ieri e di oggi, svelando - più che raccontando - aneddoti storici e culturali, rimasti a lungo segreti (agli occhi dell’occidente) anche per la difficile comprensione della lingua in sé. Scavando nei segreti di una cultura millenaria, reduce tuttora – volente o nolente - di strascichi di una dittatura passata e presente, MODA in China celebra la (ri)nascita del Created in China di cui le nuove generazioni di creativi cinesi sono portavoce. E di cui oggi, più che mai, è necessario parlare.
“Era da tempo che desideravo lanciare un progetto che accomunasse Cina e moda, dovevo solo trovare il canale di comunicazione giusto – spiega Federica Caiazzo, giornalista di moda – Ricordo quando ero all’università, L’Orientale: nel 2016 ho conseguito la laurea specialistica discutendo una tesi di laurea sul caso socioculturale e politico del lancio di VOGUE in Cina ma, in fase di ricerca, trovai estremamente scarna l’offerta di libri a disposizione per riscostruire il sistema moda in Cina. Inoltre, ad oggi, trovo che ci siano ancora tantissimi pregiudizi su tutto ciò che è creato in Cina nel senso proprio del termine. Con la mia newsletter voglio smantellare lo stigma del Made in China e portare l’attenzione sulle nuove generazioni di designer e creativi cinesi che cercano spazio in un sistema moda - ahimè - ancora troppo eurocentrico”.
Qui di seguito trovate un estratto della prima newsletter MODA in China. Iscriversi è semplicissimo, basta un click qui!
[...] Il nostro viaggio oggi inizia nel 1976, anno che vide (finalmente) la fine della Rivoluzione Culturale in Cina. Ne avete mai sentito parlare? Mi è capitato di chiacchierare con giovani cinesi che mi dicevano di non sapere cosa fosse, come se un pezzettino del loro passato fosse stato letteralmente cancellato dalla storia. Non vi tedierò con un trattato storico su cosa accadde in quel periodo (a mio avviso, di involuzione) in cui Mao Zedong strinse la morsa del suo potere accentratore (comunista) con innumerevoli violenze in nome del Libretto Rosso. Però una cosa ve la devo dire: quanto accadde in quel decennio, secondo me, è cruciale per comprendere tutta la fase di (ri)nascita della moda cinese immediatamente dopo.
Lascerò che a spiegarvi la Rivoluzione Culturale sia un’intervista che l’ex direttrice di Vogue Cina, Angelica Cheung (in foto sotto), ha rilasciato nel 2014 a Business of Fashion. A quegli anni di terrore estremo, la Cheung – che è nata nel 1966 - addita anche la conseguente mancanza di creatività e femminilità che seguì dopo il 1976. Pensate: avendo indossato un paio di pantaloni cuciti dalla nonna materna, fu presa in giro dai suoi compagni di scuola (tutti in pantaloni blu, camicetta bianca e sciarpetta rossa), che la definirono “una piccola borghese”. Ma cosa c'entra tutto ciò anche con il terrore di quegli anni? Un esempio di ciò che accadeva in Cina durante la Rivoluzione Culturale di Mao Zedong lo spiega ancora una volta Angelica Cheung: “Mia madre mi ha detto che durante la Rivoluzione Culturale, mentre saccheggiavano le case e mettevano a ferro e fuoco il vicinato, mia nonna lasciò andare tutti i suoi gioielli giù per lo scarico del bagno. Solo perché non sapeva dove metterli! Era terrificata, come se stesse conservando in casa del veleno o della droga. Qualsiasi cosa di prezioso avessi, veniva portato via proprio come fosse un sequestro di droga”. [...]
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