Una storia di ospitalità
Di Silvia Conticelli
Jiutai (Changchun), maggio 2016. Se nello stesso giorno di qualche anno prima mi avessero detto che il 13 maggio 2016 mi sarei trovata sul marciapiede di Jiutai, nella profonda Jilin, a mangiare pesce grigliato ospite di una famiglia cinese, sarei sicuramente scoppiata in una fragorosa risata. Eppure, è successo ed è stato bellissimo, ma andiamo con ordine.
L’immancabile foto di rito
Correva l’anno 2016 ed assieme a tre mie compagne di avventura avevo impavidamente deciso di accettare l’invito a trascorrere un weekend a casa di una nostra amica cinese. Partenza il venerdì dopo lezione a bordo di un bus dall’aria vagamente post sovietica. Ad attenderci c’era tutta la famiglia al gran completo, dai nonni alle cugine, tutti in prima linea per accogliere le quattro occidentali catapultate nelle campagne cinesi.
Non credo di aver mai più ricevuto un’accoglienza altrettanto calorosa: la famiglia della nostra amica era proprietaria di un supermercato che per l’occasione si era trasformato nella nostra dispensa personale, mentre il nonno, rigorosamente a torso nudo, era intento a grigliare qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani.
Nel cortile-simil-marciapiede antistante il supermercato era stata allestita la tavola, strabordante di cibo di ogni forma e dimensione. Tra tanti piatti tipici della più pura tradizione culinaria cinese non credo riuscirò mai a dimenticare lo sguardo quasi assassino riservatomi dal pesce, che giaceva, anch’esso beatamente grigliato, sul piatto di fronte alla mia postazione.
Ecco, per quel giorno, come per magia, avevo deciso di fingermi allergica a qualsiasi essere vivente che provenisse dal mare. Inutile dire che un banchetto del genere, alla presenza di noi balde giovani, avesse attirato l’attenzione del vicinato, immediatamente giunto ad assicurarsi almeno una foto ricordo da lasciare in eredità alle generazioni future.
La tavola imbandita
Il momento topico, tuttavia, arrivò dopo la cena, quando la mamma di Zhang Yu decise che fosse arrivata l’ora di mostrarci la nostra sistemazione per la notte: una bella camera con al centro un letto abbastanza grande da poterci dormire tutte insieme, riesumando i vecchi fasti dello “sleepover club”. Fin qui nulla di straordinario, se non fosse stato per un piccolo dettaglio. La camera in questione era la stanza della nonna, sfuggiva dunque il piccolo particolare di dove fosse stata allocata la vecchietta.
La risposta non tardò ad arrivare, ma anzi si presentò in tutta la sua dirompenza quando una di noi ebbe la malaugurata idea di accendere le luci della cucina, dove la vecchietta in questione dormiva beatamente, su un letto non comodissimo allestito per l’occasione sotto il lungo tavolo al centro della stanza.
Non nascondo che la scena sia tuttora a pieno titolo nella top ten delle mie avventure cinesi, ma il motivo per cui credo valga la pena raccontarla è far capire quanto il popolo cinese possa essere ospitale. E la famiglia di Zhang Yu con noi lo è stata davvero, facendoci sentire incredibilmente a nostro agio sempre, anche al rituale buddista della domenica mattina (alle 6:00, vale la pena ricordarlo), anche sedute a pasteggiare baozi alle 8 del mattino, anche in mezzo agli sguardi curiosi dei vicini, anche intente a mangiare zucchero filato dopo il cinema del sabato sera.
E allora quando vi diranno, con superficiali generalizzazioni, che i cinesi sono un popolo poco ospitale e tendenzialmente ostile nei confronti della diversità, pensate, solo per un attimo, alla disinteressata generosità della nonna di Zhang Yu.
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