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L’esercito degli Hui, il volto islamico di Xi’an

Aggiornamento: 9 feb 2021

Di Silvia Conticelli


Xian (Cina), 9 maggio 2016


La Xian che si spalanca di fronte ai nostri occhi va ben oltre la definizione di “città dell’esercito di terracotta”, valicando i confini della tradizione cinese, che nei tortuosi vicoli si mescola con un Islam del tutto peculiare.


Il capoluogo dello Shaanxi ospita infatti una delle più vaste comunità di cinesi Hui, etnia di tradizione musulmana presente sin dalla prima comparsa dell’Islam entro i confini della terra di mezzo.

La torre del tamburo ci apre le porte di un quartiere in cui la felice convivenza delle due anime Hui ha dato vita ad un non scontato sincretismo di odori e colori, di cibi, volti e tradizioni.



Quartiere musulmano, Xi’An


Camminando nel labirinto di vicoli che si intrecciano senza un disegno, ci è subito chiaro come la scarsa predisposizione alla guida sia una peculiarità al di sopra di ogni distinzione etica e religiosa: la pretesa di veicoli di ogni sorta di percorrere strade dalla larghezza minimale ci vede protagoniste di diversi momenti topici in cui ci ritroviamo a ringraziare le più svariate divinità per la nostra incolumità.

Chioschi di cibo più o meno invitante si susseguono ai lati della strada e la nostra attenzione non tarda ad essere catturata da una simil focaccia al sesamo, il cui gusto vagamente farinaceo ci riporta per un attimo alla mente l’idilliaca immagine del nostrano pane.


Tra improbabili bancarelle di altrettanto improbabili oggetti di uso sconosciuto si snoda la storia di una straordinariamente naturale commistione di due anime tradizionalmente lontane. Il sentire religioso degli Hui non ha mai ceduto a derive fondamentaliste e a conseguenti implicazioni politiche, non senza che l’onnipresenza dello stato cinese giocasse un ruolo di primo piano nell’inglobare l’Islam entro il reticolo della propria ideologia.


Nel susseguirsi di sincretismi irriverenti e non privi di singolarità l’ora di cena si avvicina pericolosamente. Il timore degli esiti culinari di cotanta convivenza culturale non riesce a scoraggiarci e, sotto il fidato suggerimento della nostra guida National Geographic, decidiamo di avere il coraggio necessario per affrontare il tipico piatto Hui, lo “yangrou paomo”.

La scelta del locale è affidata alla sperimentata equazione “più gente = migliore qualità del locale”, che in questo caso ci fa optare per un locus tutt’altro che amenus, popolato da autoctoni intenti a sgranocchiare ossa di animali senza identità.


Il piatto tipico consiste in un brodo con annesso bollito di agnello e pane arabo a pezzi da ammorbidire nel brodo. Per chi, come me, prova un’istintiva ripugnanza verso le consistenze molli la cena si rivela un incubo dai contorni tetri, ulteriormente peggiorato dalla soddisfazione dipinta sui volti delle mie amiche.

Nemmeno la mia più ferrea volontà di adeguarmi ai costumi locali riesce ad evitarmi un digiuno pressoché totale.


Aspetti culinari a parte, quello degli Hui è un esempio felice nel contesto di realtà che inneggiano allo scontro culturale su basi effimere e pretestuose, che non mancano nemmeno entro i confini cinesi, se si considera il caso millenario del Xinjiang.

Non trascurare l’importanza di realtà come quella di Xian potrebbe essere il primo decisivo passo per porre l’accento sulla possibilità di trascendere i propri confini culturali, pur restando coscienti della propria identità.


Quartiere musulmano, Xi'An


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