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I cavalli di Han Gan e Giuseppe Castiglione

Aggiornamento: 15 feb 2021

di Rachele Rosina


Come è stato rappresentato al meglio il potere imperiale nel corso della storia dell’arte cinese? Scopriamolo attraverso l’analisi di due dipinti!

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“Bianco splendente nella notte” attribuito ad Han Gan (attivo ca. 742–756). Foto su gentile concessione del Metropolitan Museum (NY)


“Bianco splendente nella notte” è un dipinto ad inchistro su carta di Han Gan (attivo ca. 742–756) e risale alla dinastia Tang (618-907). Rappresenta un cavallo bianco non sellato, imbrigliato e legato ad un palo. Il cavallo, imprigionato dalla cavezza e dai lievi tratti di pennello sulla carta di riso, è rappresentato nel disperato tentativo di scappare. La testa è alzata e ritratta di profilo, con un occhio dalle sembianze quasi umane che guarda dritto nella nostra direzione. Questo è sottolineato da un’ombreggiatura pesante, che ritroviamo anche ad evidenziare la mandibola e la muscolatura tesa del collo. Le zampe posteriori sono flesse sotto il peso del corpo che appare esageratamente compatto e dal posteriore enorme: é un fotogramma, un’istante preciso nel movimento dell’animale impresso sulla carta.


Non è anatomicamente perfetto e non rispecchia uno studio scientifico dell’animale. Tuttavia, nella semplicità del disegno, costruito con il solo utilizzo dell’ombreggiatura, riesce a trasmettere allo spettatore l’energia del cavallo.

Questo è un concetto cruciale nella pittura cinese: il pittore non si doveva limitare alla rappresentazione fedele della natura esteriore, ma ricercare la vera essenza del soggetto raffigurato.

I timbri rossi che circondano l’animale sono i sigilli di chi nel tempo ha posseduto il rotolo. Inoltre il dipinto è accompagnato a diversi testi aggiunti successivamente.



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Imperatore Qianglong a cavallo con armatura celimoniale. Attribuito a Giuseppe Castiglione (1688-1766) Foto su gentile concessione di The Palace Museum (Pechino)


Il secondo dipinto è invece *rullo di tamburi* di un pittore italiano. Giuseppe Castiglione fu un gesuita che venne accettato alla corte dell’imperatore Qianlong (r. 1736-1795) della dinastia Qing e ne ricevette presto i favori grazie alla sua maestria.

Sebbene il supporto sia tradizionale (la seta), il risutato è totalmente diverso dal dipinto precedente, e si distacca molto dalla tadizione ritrattistica di corte.


Il dipinto rappresenta un giovane imperatore di ventinove anni a cavallo, impegnato nell’ispezione dell’esercito. L’animale è sellato e sembra scappato da un quadro rinascimentale, dall’anatomia precisa e dettagliata: sembra quasi di poter percepire la morbidezza del pelo del mantello data dalla delicatezza dei tratti dell’artista.

Tuttavia, non è nemmeno del tutto un dipinto occidentale: fatta eccezione delle piante in primo piano e delle nuvole che riempiono il cielo, lo sfondo è un classico paesaggio cinese che va sfumando fino a diventare impercettibile in lontananza.

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Ritratto dell’imperatore Qianlong, nello stile tradizionale. Giuseppe Castiglione (1688-1766). Foto su gentile concessione di The Palace Museum (Pechino)


Rappresentazione… di potere??

Il tratto comune tra i due dipinti, così distanti tra loro sia nel tempo che nella tecnica, è la rappresentazione del potere imperiale.

Ciò è, per i nostri occhi occidentali, molto più immediato nel dipinto di Castiglioni: l’imperatore è personalmente raffigurato sul cavallo, con uno sguardo severo e sfoggiando gli abiti imperiali in tutto il suo splendore.

È rappresentato proprio come Napoleone Bonaparte o un qualsiasi altro valoroso condottiero della tradizione occidentale andando indietro fin dai tempi dell’Antica Roma. Lui é il potere, non ci sono dubbi. C’è però un livello ulteriore di analisi: il 18mo secolo rappresenta il periodo in cui la Cina iniziò ad aprirsi (lentamente e con molta cautela) all’Europa, in cui l’elité urbana comincia a sentire l’esigenza di trovare anch’essa un posto nel neonato mercato globale.


La raffigurazione dell’imperatore in persona, realizzata da pittore straniero alla maniera occidentale, è in sé la rappresentazione di un impero in evoluzione, capace di essere al passo con i tempi e allo stesso livello dei regnanti europei. È la richiesta e, al tempo stesso, il desiderio di essere riconosciuto anche al di fuori della corte cinese.

Il primo dipinto allora? “Non c’è traccia dell’imperatore, non è sellato, è solamente legato con una sottile corda ad un palo. Che razza di potere può rappresentare?”, penserete voi. Ma il punto è proprio questo: il cavallo, da guerra, non ha bisogno di essere sellato perchè l’impero è stabile e non ci sono guerre da comandare.

Inoltre l’espansione verso Ovest aveva dato accesso a cavalli di razza superiore, come i cavalli arabi che arrivano come doni alla corte dell’imperatore da parte dei Paesi conquistati. L’animale rappresenta quindi il successo delle politiche imperiali. Il dipinto di Han Gan porta con se un messaggio sottile, ma efficace, che rappresenta un modo di ragionare totalmente diverso e tipico delle filosofie orientali. “La dissimulazione”, di fatti, “è l’arte della guerra”, come scrisse lo statega Sun Zi ( 544 a.C. – 496 a.C.).

[…] Così, quando sei capace, fingi di essere incapace. Quando sei attivo, fingi di essere inattivo. Quando sei vicino, fingi di essere lontano. Quando sei lontano, fingi di essere vicino. Così, quando il nemico cerca il vantaggio, getta l’esca per ingannarlo. Sun Tzu, L’arte della guerra, Mondadori, Milano, 2003, p. 7

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